Componenti del collegio sindacale: quando si è responsabili?

Tributario​

Nel mese di dicembre del 2020 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema di forte interesse, che possiamo sintetizzare in una singola semplice domanda: in quali occasioni il componente di un collegio sindacale di una società è chiamato a rispondere del proprio operato? Prima di passare al merito della questione, vediamo quali fossero in particolare i fatti sottoposti al vaglio della Corte (la sentenza, nello specifico, è la n. 28357/2020).

Il curatore del fallimento di una società cooperativa aveva promosso azione di responsabilità nei confronti di un componente del collegio sindacale, lamentando il fatto che durante la fase liquidatoria della società stessa non fossero stati effettuati i controlli necessari per verificare che una somma prevista da un accordo transattivo fosse effettivamente stata incassata e, a seguire, correttamente destinata ai fini liquidatori. Le difficoltà ravvisate dal curatore fallimentare si incentravano, tra l’altro, nell’assenza della documentazione contabile, aspetto sul quale – come detto – il sindaco non avrebbe ottemperato alle proprie funzioni in maniera adeguata, segnalandone le gravi carenze. Di qui, dunque, il lungo iter processuale che, dopo un primo e un secondo grado che avevano visto accogliere le domande del curatore fallimentare, è approdato avanti i Giudici della Suprema Corte.

Possiamo anticipare sin d’ora come l’impostazione tenuta dalla Corte sia stata quella dell’indicazione di un principio di diritto diverso da quello fatto proprio dai Giudici di primo e di secondo grado. Partiamo dal dato normativo dell’art. 2407 cc, i cui primi due commi riportiamo testualmente:

I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.

Essi sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.

Pare opportuno concentrarsi proprio su questo ultimo inciso, sul quale poniamo l’attenzione: quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. Come si può agevolmente intuire, il punto focale diviene quindi quello relativo al nesso di causalità, ossia propriamente al rapporto causa-effetto tra la violazione che viene contestata al sindaco e il danno che la società ha subito. Ed infatti non a caso la stessa difesa spesa in giudizio dal componente del collegio sindacale della società cooperativa nell’ambito del processo che abbiamo citato poche righe sopra si fondava prevalentemente su questo aspetto.

La Corte di Cassazione, dunque, nella sentenza di dicembre 2020 ricorda alcuni principi cardine che governano la materia della responsabilità dei sindaci, che ripercorriamo insieme:

  • la condotta contestata ai componenti del collegio sindacale può essere sia commissiva che omissiva e quest’ultimo caso è proprio quello che ha riguardato la vicenda oggetto della sentenza n. 28357;
  • i doveri di controllo che la legge impone ai sindaci sono molto ampi ed includono tutta l’attività sociale, in funzione della tutela e dell’interesse sia dei soci che dei creditori sociali;
  • in particolare, la responsabilità diviene palese quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione, oppure quando non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, posto che un comportamento inerte in simili situazioni parrebbe certamente contestabile. Per meglio comprendere il tema, su questo punto riportiamo qualche esempio che la giurisprudenza di merito ha qualificato come macroscopica violazione. Si è trattato, ad esempio, dell’inerzia dei sindaci seguita all’esecuzione, da parte degli amministratori, di bonifici per un rilevante importo complessivo in favore di una società dello stesso gruppo, per un’operazione fittizia e con destinazione della fattura al conseguimento di un contributo pubblico (sentenza n. 13517/14 della Corte di Cassazione). Oppure, ancora, si è trattato della condotta omissiva dei sindaci che non avevano formulato rilievi critici su poste di bilancio palesemente ingiustificate e non avevano esercitato poteri sostitutivi, che avrebbero condotto ad una più sollecita dichiarazione di fallimento, poi dichiarata a distanza di mesi con un pesante aggravamento del danno in particolare nei confronti dei creditori sociali (sempre Corte di Cassazione, sentenza n. 23233/13);
  • in ogni caso, nell’ambito di un eventuale concorso omissivo del sindaco, deve essere rigorosamente accertato – e qui torniamo al punto focale di cui sopra – il nesso causale, che potrà considerarsi esistente laddove il regolare svolgimento dell’attività di controllo del sindaco stesso avrebbe potuto impedire o limitare il danno.

Quest’ultimo profilo, dunque, implica che (citiamo testualmente il passaggio della sentenza in commento) «il nesso, in particolare, va provato da chi agisce in responsabilità nello specifico senso che l’omessa vigilanza è causa del danno se, in base a un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione del controllo lo avrebbe ragionevolmente evitato (o limitato)». Ne consegue che il sindaco non risponda certamente in modo automatico per ogni evento dannoso, come se ricoprisse una sorta di ruolo di generica garanzia in ordine al corretto andamento sociale. Al contrario, egli sarà chiamato a rispondere solo laddove venga provata (con onere a carico di chi agisce in giudizio) la circostanza per cui, se il sindaco si fosse attivato utilmente e tempestivamente, il danno sarebbe stato evitato o apprezzabilmente limitato.

Questo principio, applicato alla vicenda oggetto della sentenza n. 28357, ha portato la Suprema Corte a valutare come erroneo il ragionamento svolto dai giudici del secondo grado, poiché gli stessi avrebbero ravvisato una responsabilità da parte del sindaco sulla base di una valutazione del tutto slegata da un’effettiva analisi del suddetto nesso di causalità tra condotta omissiva e danno. Nel caso di specie, all’interno del proprio percorso argomentativo la Corte ha evidenziato come l’omessa verifica della documentazione contabile ad opera del componente del collegio sindacale non avesse determinato né concorso a determinare la distrazione di somme o la commissione di anomalie gestionali da parte del liquidatore.

Nella sostanza, dunque, nessuna forma di automatica responsabilità potrà essere imputata al membro di un collegio sindacale e il soggetto che intenda agire nei confronti di quest’ultimo dovrà, al contrario, dare una puntuale dimostrazione del nesso di causa tra la condotta contestata e il danno che ne sarebbe concretamente seguito.