Valido il patto di opzione put che esonera uno dei soci dal rischio perdite

Societario e operazioni straordinarie​

La Corte di Cassazione ha recentemente stabilito il principio secondo il quale il contratto di opzione put che abbia l’effetto di esonerare del tutto uno dei soci dal rischio di perdite societarie è perfettamente valido. Questa decisione (contenuta nell’ordinanza n. 27227 del 07 ottobre scorso) si inserisce all’interno di un solco che la Corte aveva già tracciato con le proprie ultime pronunce.

Il principio sul quale si fonda il ragionamento dei giudici è quello per cui i contratti put e call riguardano esclusivamente i rapporti interni tra soci e non coinvolgono dunque direttamente la società, con la conseguenza che – laddove tali accordi siano meritevoli di tutela – dovrà esserne riconosciuta la piena legittimità.

Nella prassi, ecco ciò che può accadere. In determinate circostanze, è del tutto plausibile che un investitore voglia apportare dei capitali in società, acquisendone una quota, con il solo scopo di veder massimizzare il proprio investimento nel breve-medio periodo e non, dunque, per compartecipare a risultati a lungo termine. In tal caso, proprio al fine di incentivare l’apporto equity di questa tipologia di investitori, vengono sottoscritti contratti specifici che prevedono, nella sostanza, due aspetti.

Anzitutto, viene garantita un’opzione put a favore dell’investitore, ossia il diritto di vendere agli altri soci le proprie quote ad un prezzo predeterminato, solitamente calcolato proprio in misura uguale all’originario acquisto, maggiorato di interessi e con l’aggiunta del rimborso dei versamenti nel frattempo operati in favore della società. Questo meccanismo, come è chiaro, ha l’effetto di ripristinare la situazione originaria mettendo nelle condizioni l’investitore di rientrare in possesso dei capitali impiegati. In secondo luogo, viene stabilito che gli altri soci esonerino l’investitore da qualunque passività societaria. Con questo specifico punto dell’accordo, l’investitore ha la garanzia di non accollarsi perdite.

La questione appare interessante da un punto di vista legale tenuto conto del cosiddetto divieto di patto leonino, previsto dall’art. 2265 cc: “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”. Sino a qualche anno fa (il 2018, per la precisione) proprio alla luce del divieto di patto leonino la Corte di Cassazione aveva ritenuto nullo l’accordo put che abbiamo sinteticamente descritto alcune righe sopra.

A partire dalla pronuncia n. 17498/2018 si è assistito ad un deciso cambio d’orientamento da parte dei giudici di legittimità, confermato anche di recente. Come sopra abbiamo accennato, il punto focale di questo nuovo orientamento può essere riassunto nel passaggio dell’ordinanza dell’ottobre scorso che qui riportiamo: “La ratio del divieto (del patto leonino, nda) va, pertanto, ricondotta ad una necessaria suddivisione dei risultati dell’impresa economica, tuttavia quale tipicamente propria dell’intera compagine sociale e con rilievo reale verso l’ente collettivo; mentre nessun significato in tal senso potrà assumere il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorché non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, né modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa”.

Concludendo, assistiamo oggi ad una lettura dell’art. 2265 cc e, in generale, ad un approccio agli accordi che regolano i rapporti tra soci decisamente più al passo coi tempi e meno imbrigliato all’interno delle rigide strutture interpretative del codice. Questo permette di tutelare gli interessi degli operatori economici e di rispondere in maniera più adeguata alle nuove e sempre più complesse forme in cui gli affari si articolano e sviluppano.