NO VAX “OSCURATA” DA FACEBOOK, SOSPENSIONE LEGITTIMA?

Diritto digitale

Partiamo con il raccontare una breve vicenda. Una signora accede a Facebook e condivide sul proprio profilo, senza alcun commento, il video di una parlamentare italiana nel quale quest’ultima affronta con toni di forte critica il tema del Covid19 e della sua gestione da parte del Governo nazionale. La società Facebook sospende l’account della signora e ne inibisce la partecipazione a gruppi. Per tutta risposta, quest’ultima si rivolge d’urgenza al Tribunale di Varese e chiede, in sintesi: i. la riattivazione dell’account e la rimozione del blocco rispetto alla partecipazione ai gruppi pubblici, ii. il reinserimento del post incriminato, iii. il risarcimento di un danno quantificato in non meno di 200 euro al giorno per ogni giorno di sospensione, in aggiunta ad altri 500 euro giornalieri a titolo di penale e iv. la pubblicazione sui giornali nazionali e sulla propria pagina della sentenza. Facebook si costituisce in giudizio e le parti iniziano a discuterne.

Mi pare interessante soffermarsi direttamente sulle conclusioni a cui è approdato il Giudice, che – tanto per anticipare l’esito della querelle – ha respinto il ricorso su tutta la linea.

Il Tribunale di Varese ha anzitutto inquadrato il rapporto tra la signora e la piattaforma social come un contratto per adesione a titolo oneroso. Per adesione, perché come noto per accedere ai servizi offerti da Facebook l’utente semplicemente deve accettare delle condizioni disponibili online, senza alcun potere contrattuale né possibilità di personalizzazione. Il titolo oneroso del contratto, invece, è legato al fatto che se è pur vero che l’utente non versa alcun corrispettivo in denaro, è altrettanto vero che autorizza la piattaforma social ad utilizzare i propri dati per inserzioni personalizzate e in generale per attività di sponsorizzazione e promozione che a tutti gli effetti hanno un (alto) valore economico.

In second’ordine, il Giudice ha chiarito che le clausole sulla base delle quali l’account della signora è stato sospeso, contenute nelle Condizioni d’uso e negli Standard della Community, non sono qualificabili come vessatorie. In particolare, proprio all’interno degli Standard della Community, al punto iv) (integrità e autenticità) è prevista una specifica sezione rubricata “disinformazione”, che tra le altre disciplina le questioni relative alla diffusione di informazioni sul Covid19. In linea generale, dunque, secondo il Tribunale di Varese la fissazione di regole e limiti entro cui gli utenti iscritti siano legittimati a trattare di determinati argomenti rientra nel diritto spettante a Facebook di regolamentare – nei limiti di legge – il rapporto contrattuale che poco sopra abbiamo inquadrato. Nello svolgimento delle proprie argomentazioni, il Tribunale annota anche come l’art. 21 della Costituzione invocato dalla signora nel proprio ricorso, che afferma il principio della libertà di manifestazione del pensiero, incontra dei limiti. Nel nostro caso, tali limiti vengono anzitutto individuati in altri principi “primari” che gli Standard della Community identificano tra l’altro nella dignità, nella sicurezza e nella riservatezza degli utenti. Da un punto di vista puramente giuridico, il principio costituzionale che il Giudice ha individuato quale legittimo limite all’art. 21 è quello del diritto alla salute, posto che la diffusione di false informazioni relative al Covid19 e alla pandemia può comportare una lesione proprio alla salute pubblica.

Di conseguenza, il Tribunale conclude affermando la legittimità della sospensione dell’account della ricorrente, respingendo in toto il ricorso e ponendo un ulteriore tassello su una strada (quella dell’inquadramento giuridico di fenomeni digitali sempre più complessi, quale quello dei social) che – non ne dubito – riserverà ancora moltissimi spunti nei mesi a venire.

Per chi volesse ulteriormente approfondire, qui c’è il testo integrale dell’ordinanza n. 1181/2022 del Tribunale di Varese (link pubblico, fonte: Il Sole 24 Ore).