Contratto preliminare: cosa succede se scopro che il bene non è del promittente venditore, ma “altrui”​?

Immobiliare​

Il contratto preliminare, in via generale, è un accordo con cui le parti, in forma preliminare e non definitiva, decidono di non porre in essere subito il contratto definitivo, ma di dar vita ad una fattispecie a formazione progressiva, con la previa conclusione di un contratto preparatorio (il preliminare appunto) sulla cui base deve poi essere necessariamente stipulato quello successivo, definitivo.

Con il preliminare le parti si impegnano a stipulare un successivo contratto i cui elementi fondamentali sono già fissati; tale contratto ha dunque una duplice natura: 1) integra una promessa di consensi in vista della conclusione del futuro contratto; 2) predetermina gli elementi essenziali del contratto.

Dalla sua stipula sorgono due tipologie di obblighi: quello di prestare il consenso per stipulare il definitivo e quello di realizzare concretamente l’assetto di interessi già pre-programmato.

Tra le varie tipologie di contratto preliminare, quello che desta particolare interesse è il preliminare di cosa altrui.

Si tratta di un contratto con cui il promittente venditore promette di vendere una cosa di cui non è proprietario al momento della stipula del preliminare.

Sussistono due tipologie di preliminare di vendita di cosa altrui:

1) il preliminare di cosa altrui con cui le parti si impegnano a stipulare un definitivo di cosa altrui;

2) il preliminare di cosa altrui con cui le parti si impegnano a stipulare un normale definitivo di cosa propria. In questa seconda ipotesi, il promittente alienante può procurare l’acquisto del bene

a) o acquistando a sua volta il bene e poi rivendendolo al promissario acquirente nel definitivo;

b) oppure senza acquistare direttamente il bene, può fare in modo che il promissario acquirente acquisti la proprietà direttamente dal terzo titolare. In quest’ultimo caso il definitivo di acquisto verrà stipulato tra il promissario ed il terzo.

Uno dei maggiori problemi che si verifica nella pratica è l’ipotesi in cui, al momento della conclusione del preliminare, il promissario acquirente non sia a conoscenza dell’altruità della cosa. In tal caso ci si è chiesti se al preliminare possano estendersi le disposizioni dell’art 1479 c.c. che disciplina i casi di ignoranza da parte dell’acquirente dell’altruità della cosa oggetto di compravendita. Il compratore che stipula un contratto di compravendita non avendo consapevolezza dell’altruità della cosa, infatti, può chiedere ex art 1479 c.c. l’immediata risoluzione del contratto, purché nel frattempo il venditore non gli abbia fatto acquistare la proprietà della cosa. All’evidenza la norma mira a tutelare la posizione del compratore in tutti quei casi in cui, a sua insaputa, il contratto non può produrre l’immediato effetto traslativo a causa del fatto che il bene oggetto della vendita è di un altro soggetto.

Ebbene, la possibilità di chiedere la risoluzione di un contratto preliminare di cosa altrui è stata a lungo controversa, tuttavia sul punto, già nel 2006 sono intervenute le Sezioni Unite che, con sentenza n. 11624, hanno affermato che l’altruità della cosa non esclude, almeno fino al momento della scadenza del termine per la stipula del definitivo, che il promittente possa comunque adempiere alla sua obbligazione, procurando l’acquisto del bene.

È pertanto escluso che il promissario, dopo la stipula del preliminare e nonostante la scoperta dell’altruità della cosa, possa chiedere risoluzione del preliminare per inadempimento ex art 1479 c.c. e ciò quantomeno sino al momento della scadenza del termine per il rogito definitivo.

In caso di inadempimento dell’obbligo assunto con il preliminare di cosa altrui, inoltre, si discute dell’esperibilità dell’azione prevista dall’art. 2932[1] c.c.: secondo la tesi prevalente l’altruità del bene costituisce un limite invalicabile all’ottenimento dell’esecuzione in forma specifica: il soggetto che ha assunto l’obbligo preliminare non coincide con il soggetto titolare del bene, rendendo di fatto non operativo il rimedio di cui all’art. 2932 c.c. Da una parte la sentenza pronunciata contro il promittente venditore non può produrre gli effetti del contratto non concluso per la carenza di titolarità del bene; dall’altra, la sentenza non può essere pronunciata nei confronti del vero titolare poiché questi non ha assunto alcun obbligo giuridico di contrarre.

Recenti orientamenti giurisprudenziali, tuttavia, riconoscono un temperamento a questa regolaammettendo la proponibilità della domanda ex art. 2932 c.c. anche contro il promittente venditore che, al momento della proposizione della domanda, non sia ancora titolare del diritto.

In tal caso, tuttavia, si evidenzia che la sussistenza dei presupposti e delle condizioni dell’azione, tra cui rientra anche la titolarità del diritto controverso, debba essere valutata con riferimento non al momento della presentazione della domanda giudiziale, ma al momento dell’emanazione della sentenza; diversamente la domanda in parola resterebbe inammissibile e l’eventuale sentenza emessa, evidentemente inesigibile.

[1] Tale azione consente in sostanza a ciascuna delle parti, purché adempiente, di agire in giudizio per ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso a causa dell’inadempimento dell’altra parte.